IN VIAGGIO CON IL G-ASTRONAUTA SULLA STRADA DEL VINO DEL TRENTINO-ALTO ADIGE
Lo chiamano Ora del Garda, il vento pomeridiano che dall’omonimo lago risale verso Nord e, attraverso la Valle dell’Adige, giunge a lambire con la sua brezza i pendii soleggiati che abbracciano la Strada del Vino del Trentino-Alto Adige, la “Südtiroler Weinstraße” in tedesco, donando aria secca ai vigneti.
Un microclima inconfondibile, ricco di sfumature e contrasti, quello che caratterizza queste terre dalla straordinaria vocazione vitivinicola.
La Weinstraße si snoda tra filari e frutteti a perdita d’occhio per circa 70 chilometri attraverso 16 pittoreschi borghi dell’Oltradige, da Salorno a Nalles: con una superficie totale di oltre 4200 ettari coltivati a vite, e più di 70 cantine, rappresenta la più vasta area di produzione enologica di tutta la regione.
Ci troviamo qui. In un autentico “distretto del vino” dove l’altitudine delle vigne – compresa tra i 200 e i 1000 metri di quota - il caldo dell’esposizione al sole durante il giorno, le correnti d’aria pomeridiane e il fresco delle ore notturne, con escursioni termiche importanti, influenzate dalle vicine Dolomiti, temprano i filari e permettono alle uve di sviluppare al meglio il loro potenziale aromatico, dando vita a vini dalla personalità eccezionale.
Ovviamente non contano solo terreno, clima e caratteristiche peculiari dei vitigni autoctoni: a rendere unici i vini-terroir altoatesini contribuiscono in primis l’esperienza e il lavoro in cantina dei viticoltori, che qui vantano una tradizione secolare.
In questo paradiso dei wine
lovers il vostro G-ASTRONAUTA, inutile dirvelo, ha trovato il suo centro di
gravità permanente. Motivo per il quale ci torna spesso e volentieri, sospinto
dal vento del Garda e desideroso di tuffarsi ogni volta nella giostra di
incontri e di esperienze che questi luoghi hanno da offrire. Perché la Strada
del Vino è innanzitutto un’esperienza da vivere a tutto tondo.
Lungo la strada, camminando sotto al sole per chilometri, immersi nella
natura potente che dipinge questi paesaggi, a tratti morbidi e modellati
dall’uomo, a tratti impervi, ruvidi e ancora selvaggi, troverete infinite
occasioni per sorseggiare un calice in compagnia di chi il vino lo fa, e lo
vive, ogni giorno.
Vi imbatterete in chioschi simili
a dei chiringuitos dispersi tra le vigne - come oasi in cui trovare ristoro - e
in possedimenti faraonici, in piccole cantine dall’ambiente rustico e in tenute
avveniristiche con resort all’ultimo grido, accolti sempre dai sorrisi
familiari, dalla gentilezza e dall’ospitalità tipici della gente del luogo.
Muovendovi tra enoteche e wine shop di tendenza, piccole cantine, vinoteche e grandi
cooperative, locande dall'atmosfera rustica ed eleganti ristoranti gourmet,
scoprirete quante storie si nascondano in un piatto e in un buon bicchiere di
vino. Perché la Strada del Vino è cultura. Se siete fortunati ballerete di
notte tra le vigne, sentirete crescere la musica fuori e dentro di voi, perché
qui d’estate si sanno anche divertire.
KALTERERSEE: 750 ANNI E NON SENTIRLI
Perché Caldaro? Beh, perché il
vino qui è il riflesso dell’identità stessa di un borgo, o meglio di un
territorio che comprende il villaggio di Kaltern e il lago ad appena 4
chilometri dal centro storico, da cui prende il nome il più famoso tra i vini
rossi altoatesini, il Kalterersee appunto, ottenuto dal vitigno
autoctono più antico dell’Alto Adige: la Schiava. Basti pensare che la
viticoltura sul lago di Caldaro risale all’epoca preromana e il Kalterersee
quest’anno spegne la bellezza di 750 candeline. Un documento nel quale il
vescovo di Trento concede a Elisabetta, moglie del conte tirolese Mainardo II
il diritto di deforestare la zona che separava i vigneti di Termeno da quelli
di Caldaro, attesta infatti l’avvio della viticoltura sulle sponde del lago di
Caldaro nel 1273. Niente male per un vino che sta vivendo una seconda
giovinezza.
Chiamato dapprima Vinum lacus o Seewein e poi Kalterersee (o Lago di Caldaro)
per lungo tempo è stato il vino più importante dell’Alto Adige e oggi sembra
intenzionato a rivivere gli antichi fasti. Da qualche tempo il Kalterersee è
infatti al centro di numerose iniziative che puntano a rilanciarne l’immagine
di grande vino, dalle caratteristiche per certi versi simili al Pinot Nero: un
rosso fresco e versatile, ma allo stesso tempo complesso ed elegante, con un
ottimo potenziale di invecchiamento. Un vino dalla facile beva, che si abbina
splendidamente con la moderna cucina alpino-mediterranea. Non certo un
vino dozzinale, ma un prodotto pregiato proveniente da plaghe particolari che –
nonostante il vitigno comune – è versatile come il paesaggio in cui matura.
Da qui la straordinaria varietà di espressioni della Schiava: Kalterersee, Santa Maddalena, Schiava Grigia, Meraner Hügel, Colli di Bolzano, Klausner Leitacher e Schiava della Val Venosta.
A garanzia dell’alto livello di questi vini, insigniti della Denominazione di Origine Controllata nel 1970, ricopre un ruolo fondamentale la Charta del Kalterersee: un sigillo di qualità di cui solo i migliori Kalterersee possono fregiarsi, riportando sulla capsula la dicitura “Original Kalterersee”. Una promessa di qualità, ma anche un vademecum che detta ai produttori calderesi una serie di rigidi criteri cui attenersi per quanto riguarda le rese, la collocazione dei vigneti e l’invecchiamento in cantina. A questo si affiancano tante altre iniziative nate in seno al progetto Wein.Kaltern come il Sentiero del vino – passeggiata di 9 km dove, grazie ad apposite targhe poste a terra, si possono distinguere i nomi storici dei vigneti, alcuni retici e alcuni romanici, come Vial e Prunar, Salt e Palurisch, Ölleiten e Puntara – la "weinhaus" PUNKT (casa del vino) proprio nel centro storico di Caldaro ed eventi sempre più partecipati, come Caldaro in abito bianco e Caldaro in abito rosso, il Wineparty, Vino e cucina a Caldaro e le Giornate calderesi del vino. In collaborazione con l’associazione sommelier Alto Adige nel 2010 è nata anche l’Accademia del Vino Alto Adige, che propone tutto l’anno a enoappassionati, neofiti e curiosi un ricco calendario di corsi, wine tasting, piacevoli serate di apprendimento e seminari non solo sul vino, ma anche su birra, speck e altri prodotti tipici (informazioni scrivendo a info@weinakademie.it oppure chiamando lo 0471/96.46.09).
Poco distante dallo storico albergo in cui mi trovo, il Weisses Rössl, affacciato sulla piazza principale di Caldaro, si trova il Museo provinciale del Vino, in quello che fu l’edificio amministrativo della signoria Caldaro-Laimburg. L’allestimento permanente, corredato da video e contenuti multimediali, conduce alla scoperta del lavoro dei viticoltori di un tempo, dagli attrezzi d’antan alle rappresentazioni devozionali che illustrano il rapporto tra vino e religione. Nel piccolo vigneto del Museo vengono allevati a pergola diversi tipi di vitigni autoctoni, alcuni anche molto antichi e oggi quasi introvabili come Bozner Seidentraube, Blatterle e Rossara, di cui in autunno i visitatori possono coglierne gli acini per qualche assaggio (info scrivendo a weinmuseum@landesmuseen.it oppure chiamando lo 0471/96.31.68). È curioso scoprire che prima di trasferirsi nell’ex cantina Di Pauli e nella sede attuale, il Museo provinciale del Vino venne inaugurato nel 1955 a Castel Ringberg, proprio sopra il lago di Caldaro, dove oggi nascono alcuni dei vini più quotati della “Grand Dame” del vino altoatesino: Elena Walch.
ELENA WALCH, L'ECCELLENZA FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
I vigneti di Elena Walch sono una perla che riflette appieno la vasta varietà geologica e climatica dell’Alto Adige. I circa 90 ettari di appezzamenti, divisi tra sinuose colline e impervie terrazze, pianure e ripide distese di filari, si sviluppano mediamente tra i 250 e i 1000 metri di altitudine – ben 15 ettari oltre i 600 metri ospitano soprattutto vigne di Pinot Bianco e Pinot Nero – con un dislivello di quasi 800 metri, caratteristica pressoché unica al mondo.
Questo permette a Elena Walch e alle figlie che oggi conducono l'azienda, Julia e Karoline Walch, di sperimentare e studiare le caratteristiche che i diversi tipi di terreno, a diverse altitudini, esprimono infine nel bicchiere. Oggi sono soprattutto le figlie, quinta generazione della casata, a occuparsi della cantina, mentre Elena Walch si dedica a nuovi progetti, fra cui un vigneto per la sola produzione di spumante Trentodoc, tra le montagne del Trentino.
Incontrerò Karoline nella sede della cantina a Termeno, prima però mi concedo una sosta proprio a Castel Ringberg, oggi sede dell’osteria con terrazza panoramica, di un punto vendita e delle due cantine “Schlosskeller” e “Gutskeller”. Con i suoi 20 ettari Castel Ringberg è tra i vigneti singoli più estesi della regione, ed è proprio qui che nascono molti dei vini di Elena Walch pluripremiati a livello internazionale.
Il castelletto rinascimentale, eretto dagli Asburgo nel lontano 1620, sovrasta il lago di Caldaro a circa 350 metri sul livello del mare e si trova sull’antico crocevia di tre tipi di terreno: pietra calcarea, pietrisco del fiume Adige e sedimenti di origine morenica. Qui il concetto di vino-terroir racchiuso nella classificazione “Vigna” è espresso alla massima potenza: dalle particolari caratteristiche geologiche unite al microclima mite e ventilato nascono vini dal carattere unico, minerali, di grande eleganza e raffinatezza.
Dopo aver gustato un ottimo tagliere di salumi e formaggi con wine
pairing vista lago e aver fatto visita al moderno wine shop della
tenuta, mi rimetto in cammino per raggiungere la storica cantina di Elena
Walch, nata 154 anni fa a Termeno in quello che prima era un convento gesuita e
ampliata nel 2015 con una nuova cantina di fermentazione sotterranea.
Il paese di Tramin, come sappiamo, è legato a doppio filo con le origini della rinomata varietà Gewürztraminer e alla sua coltivazione millenaria. Antiche iscrizioni testimoniano la grande importanza della Vigna “Kastelaz” di Elena Walch, uno straordinario e ripido vigneto (la pendenza tocca i 63°) affacciato proprio sul paese di Tramin. Già nel 1214 il vescovo Friedrich von Wangen aveva infatti concesso la costruzione di una cantina sulla collina di Kastelaz per fa maturare il vino e il castelletto, il cosidetto “Castellaccio” eretto sulla cima del promontorio, diede infine il nome alla collina di Kastelaz. Qui, tra i 330 e i 380 metri sul livello del mare, da vigne a bassissima resa, oggi nascono due dei vini di punta di Elena Walch: il Gewurztraminer e il Merlot Riserva, entrambi con la menzione geografica “Vigna”.
È il sorriso di Karoline ad accogliermi per un tour attraverso la barricaia e le mastodontiche botti intarsiate a mano che raccontano la storia di questa cantina, che porta avanti con la sorella Julia nel massimo rispetto di valori importanti: sostenibilità, tutela della biodiversità e ottimizzazione della qualità in tutte le fasi di lavorazione, dalla vigna all’imbottigliamento. La visita termina tra le cisterne in acciaio della moderna cantina di fermentazione, basata sui principi della gravità e su tecnologie di ultima generazione che la pongono tra le realtà più all’avanguardia dell’Alto Adige. Ad attenderci per la degustazione alla fine del tour e Le verre capricieux, il piccolo bistrot nel parco della tenuta, un gioiello di architettura costruito nel 2011 dal giovane architetto gardenese David Stuflesser in cui concedersi un momento di relax immersi nel verde, sorseggiando una selezione di vini di Elena Walch accompagnati da qualche specialità della “casa” (aperto tutti i giorni dalle 11,30 alle 18,30, info e prenotazioni allo 0471/86.01.03 o scrivendo a visite@walch.it).
Seduti nel bistrot, partiamo per una doppia verticale che non si dimentica: iniziamo dai bianchi con un fantastico Chardonnay Alto Adige "Cardellino" 2022, per proseguire con il Pinot Bianco "Kristallberg" 2021, due superlativi "Vigna", il Sauvignon "Castel Ringberg" 2021 e il Gewürztraminer "Kastelaz" 2021 e una eccezionale cuvée "Beyond The Clouds" 2020; sul fronte rossi, la scalata parte da uno stupendo Pinot Nero Alto Adige "Ludwig" 2020 - etichetta che mi appassiona particolarmente - per proseguire con la cuvée Kermesse 2019 e chiudere con un "Vigna" strepitoso: il Lagrein "Castel Ringberg" Riserva 2019. L'estasi dei sensi.
IL TOP DI GAMMA S'INARGENTA IN MINIERA A 2000 METRI
Prima di salutarci, Karoline Walch mi racconta ancora qualcosa sul particolare tipo di invecchiamento Argentum Bonum Silberstollen delle etichette più prestigiose, che avviene in una galleria della miniera più alta d’Europa, a nord dell’Alto Adige, nel cuore della Alpi.
“Nella nostra casa di montagna a 2000 metri oltre il livello del mare abbiamo sempre conservato del vino, sappiamo infatti che la conservazione delle bottiglie ad alta quota permette di ottenere il meglio dai vini. Ed è nel silenzio della miniera d’argento del Monteneve che oggi riposano a lungo le nostre etichette più pregiate, come la Grande Cuvée “Beyond the Clouds” e il Gewürztraminer “Kastelaz”. Soltanto 1200 bottiglie per ogni annata vengono trasportate con un piccolo treno di miniera a 3 km di profondità, dentro la montagna”.
È così che Elena, Karoline e
Julia Walch hanno scelto di imprimere il loro marchio di fabbrica “argentato”
ai vini più importanti, emblema di un lavoro di costante ricerca orientato alla
perfezione. Dopo il disgelo delle nevi, in primavera, soltanto 600
bottiglie vengono proposte in vendita agli intenditori più esigenti. Queste
vengono chiuse con il sigillo di cera e riportano sull’etichetta
l’inconfondibile simbolo della miniera.
DA TERMENO AL LAGO DI CALDARO MANINCOR, RITTERHOF E ALTRI INDIRIZZI AL TOP
Risalgo verso Caldaro lungo la Weinstraße, per recarmi in visita ad altre due storiche realtà di punta dell’Alto Adige, non prima di essermi concesso una tappa alla centenaria cantina sociale di Termeno, che grazie all’impegno e alla guida ultratrentennale dell’enologo Willi Sturz è senza dubbio il luogo migliore in cui farsi un’idea completa sulle tante sfumature del Gewürztraminer sudtirolese.
Il giorno successivo è un tuffo nel verde delle vigne che circondano il lago, fa caldo e il cielo è terso. Chiacchierando con altri enoappassionati, mi sono incuriosito alla tenuta Dominikus di Georg Morandell, in posizione panoramica, che mi hanno detto essere tra le più suggestive tra quelle che circondano il lago. Così ci vado, e posso confermarlo: da qui la vista sulla valle e sulle distese di filari è incantevole e vale la fatica della salita a piedi (ma è raggiungibile anche in auto). Andando sul sito potete prenotare tour guidati nella cantina, dalle caratteristiche volte in pietra, fermarvi per una degustazione nel dehors panoramico che domina la valle e acquistare i vostri vini direttamente nel moderno shop, concepito con un interessante contrasto architettonico rispetto agli spazi della tenuta. Potete anche prenotare un soggiorno in agriturismo, anche se in alta stagione da queste parti trovare posto non è impresa facile.
Dopo essermi preso il tempo per sorseggiare en plein air l’eccellente schiava Lago di Caldaro “Dominikus”, insignita non a caso del sigillo di qualità Kalterersee Charta, ridiscendo per raggiungere un luogo speciale che – forte di 400 anni storia – incarna l’essenza stessa della cultura vitivinicola in Alto Adige: la tenuta di Manincor.
Qui da molte generazioni i conti Enzenberg si dedicano all’agricoltura e alla viticoltura, tradizione che oggi il conte Michael Goëss-Enzenberg e la moglie Sophie portano avanti con una visione moderna e al passo coi tempi, orientata alla sostenibilità ambientale e ai princìpi della biodinamica, nel rispetto degli antichi valori. L’obiettivo è produrre vini “puri”, dal carattere peculiare, eleganti e ben strutturati, espressione di un terroir unico: così frutteti, vigneti, boschi e prati concorrono a formare un solo habitat con certificazione biologica e biodinamica. Il viaggio calice alla mano parte dalla visita alla cantina quasi “invisibile”, sotto le viti nel distretto di St. Josef am See, dove si trovano anche il punto vendita aziendale e la sala degustazioni. La naturale diversità dei poderi, la scelta di terreni ricchi con la migliore esposizione sotto la supervisione dell’enologo e direttore della cantina Helmut Zozin, lavorati con un approccio olistico che guarda alla salute delle piante attraverso il rafforzamento di tutte le “forze vitali” del sistema-vigna, la fermentazione spontanea opera dei lieviti naturalmente presenti sulle bucce delle uve – senza inoculare lieviti selezionati – concorrono a fare dei vini di Manincor dei prodotti di grande complessità, profondamente legati al terroir.
La nuova cantina, completata nel 2004 su progetto dell'architetto altoatesino Walter Angonese e di Rainer Köberl di Innsbruck, copre un'area di 3 mila metri quadri e si sviluppa verticalmente su tre piani, sfruttando il sistema della gravità per impattare il meno possibile sul territorio, anche a livello visivo. Coperta da uve di Tempranillo impiantate nel 2004, la struttura dal moderno design è stata concepita per entrare in dialogo simbiotico con lo storico edificio e con l'ambiente: la particolare architettura, con pareti oblique e numerosi solai, riprende la topografia dei vigneti e utilizza ampie vetrate per sfruttare al massimo la luce naturale, oltre a garantire ai visitatori un bel colpo d'occhio sul paesaggio circostante.
Ma veniamo ai vini dell'ultima annata, che il vostro G-ASTRONAUTA non si è certo fatto scappare al termine del suo tour. I bianchi della vendemmia 2022, che mi dicono essere tra le migliori mai messe in cantina, coniugano sentori di frutta gialla e una fresca mineralità, al palato sono vigorosi, dalla struttura spiccatamente verticale, mentre i rossi si distinguono per gli aromi di frutta matura, ciliegia, ribes, arance tarocco, mora e sambuco. “Mani-Cuore-Corona” è la tripartizione concettuale delle diverse tipologie di vino: nel segno della Mano che lavora la terra, cura le viti e raccoglie i grappoli si trovano vini classici, più freschi e di facile beva; il Cuore pulsa coraggio, energia e risolutezza che riflettono al meglio la missione di Manincor e danno vita ai vini migliori della tenuta, quelli dal lungo affinamento; la Corona è il simbolo per eccellenza dello status regale di vini di qualità sopraffina, autentiche chicche destinate agli amanti delle rarità. Proprio alla ristretta cerchia di soci Corona, per cui si organizzano serate conviviali esclusive nelle sale di Castel Campan - sede della famiglia da più di tre secoli - è rivolta una bella novità: la nuova sala del Manincor Club. Terminati i lavori di ristrutturazione, durati oltre un anno, il nuovo spazio è pronto ad accogliere i visitatori sotto le volte di quelle che un tempo erano le stalle della tenuta, subito accanto al punto vendita.
I poderi adibiti alla produzione dei bianchi di Manincor si trovano a Terlano e Caldaro, dove la cuvée data dai tre vitigni Pinot Bianco, Sauvignon Blanc e Chardonnay prende il nome di Terlaner. Il Terlano classico della casata è la "Réserve della Contessa", mentre il Pinot Bianco “Eichborn” porta il nome del vigneto di Terlano in cui viene coltivato e il Sauvignon Blanc “Tannenberg” quello della famiglia da cui è stata ereditata la tenuta di Terlano. Sempre tra i bianchi lo Chardonnay “Sophie” (con un 4% di Viognier e 4% Sauvignon Blanc) è il vino con cui Manincor vanta la maggior esperienza in fatto di maturazione, dal carattere deciso, mentre "La Manina", dall’uvaggio simile alla "Réserve della Contessa", è fresco e fruttato. Aromatico, raffinato e di grande piacevolezza, "Le Petit" è il vino dolce 100% Petit Manseng di Manincor, una chicca come il "Grand Cru Lieben Aich" 100% Sauvignon Blanc.
Tra i rossi, oltre all’immancabile Schiava "Der Keil", spiccano il Lagrein "Rubatsch", la Cuvée storica "Cassiano" data dal sapiente assemblaggio di Merlot, Cabernet Franc, Tempranillo, Petit Verdot, Cabernet Sauvignon e Syrah, per arrivare al non plus ultra dei Pinot Nero, il Blauburgunder come si chiama da queste parti, con un "Mason di Mason" profondo e stratificato, degno ambasciatore dell’eccellenza vitivinicola altoatesina e del suo terroir. Frutto di un podere eccezionale, accarezzato da fresche brezze catabatiche al mattino e dall’aria secca dell’Ora del Garda nel pomeriggio, acquisisce struttura e finezza dalla particolare composizione del terreno, con detriti morenici di calcare, granito e gneiss sopra uno strato di argilla. Ottenuto da viti con più di trent’anni, con grappoli e bacche di piccole dimensioni, dopo la fermentazione spontanea in tini di legno, questo grande vino invecchia in barriques selezionati e nel calice è puro piacere per il palato.
Al numero 1 della Strada del Vino, sempre a Caldaro, un must per i wine lovers è senza dubbio una tappa alla tenuta Ritterhof gestita da Eva Kaneppele, quarta generaZione della famiglia Roner proprietaria della Roner Distillerie. Non a caso nell’accogliente enoteca troverete non solo un’ampia vetrina sulle migliori etichette della cantina, ma anche un’attenta selezione di distillati della casa. Qualche rarità qui si trova sempre, frutto di un lavoro condotto con cura artigianale e selezione manuale delle uve, già in vigna, e dell’invecchiamento in botti in legno.
Fra queste il "Manus" è un Lagrein Riserva esplosivo al frutto, eletto, per sole annate particolarmente buone, mentre il Passito Gewurztraminer è una sinfonia di note amabili che farà la gioia degli appassionati. Il marchio di qualità Kalterersee Charta va al "Novis", Lago di Caldaro Classico Superiore, mentre tra le novità c’è il "Natus", da vitigno Souvignier Gris PIWI, abbreviazione della parola tedesca Pilzwiderstandsfähige con cui si indicano le “viti resistenti ai funghi”.
Tra i bianchi di Ritterhof che mi hanno maggiormente colpito c’è sicuramente il Lenz, blend di tre varietà di uva bianca dal bouquet fruttato che sa di boccioli di melo, fiori ed erbe, fresco, leggero e super equilibrato. Un autentico calice di primavera.
Prima di risalire verso Bolzano, per l’ultima tappa del mio tour sulla Weinstraße a San Michele Appiano, mi fermo al wine center della storica cooperativa Kellerei Kaltern, monolitico edificio progettato dal gruppo feld72 di Vienna che ospita non solo l’enoteca e il punto vendita della cantina, ma è anche luogo di arte e di eventi, oltreché di banchetti all’insegna della buona cucina sudtirolese. Quintessenz è il nome della linea di punta della casa madre, che annovera tra le sue perle il Passito, un Moscato Giallo polposo di frutta esotica e candita, il Lago di Caldaro e il tradizionale Kalterersee Leuchtenberg, reso elegante da un palato particolarmente vellutato. I vini selezionati della cantina Kaltern si trovano anche alla Vinothek 1900, in via dell'Oro 1, nel centro storico del paese.
LA TAPPA GOURMET: LO ZUR KAISERKRON DI BOLZANO
Non poteva che essere un
delizioso Passito altoatesino il vino con cui concludo il mio
super pranzo al ristorante Zur Kaiserkron guidato dallo chef Filippo
Sinisgalli, nel centro storico di Bolzano.
Tappa consigliatissima ai gourmand in viaggio sulla “Südtiroler
Weinstraße”, a soli 20 minuti di macchina da San Michele Appiano, il raffinato
ristorante della guida Michelin all'interno di Palazzo Pock - di cui vi ho già parlato qui - è dotato di una cantina
di livello, con oltre 500 etichette e un'ottima selezione di
referenze regionali, ideale accompagnamento per le specialità di una cucina
alpina con interessanti note mediterranee.
La carrellata di prelibatezze del menù di primavera che vado ad assaggiare, di
cui vi consiglio tra gli antipasti la squisita Tartare di manzetta,
crostini di pane casereccio e salsa bolzanina, tra i primi i Ravioli di
coniglio del Bleggio all’ischitana con la sua salsa e crema di piselli alla
menta e tra i secondi l'Agnello in tre variazioni di cottura e consistenza - si
conclude con il dessert Ape Maia, un piccolo capolavoro d'arte
dolciaria al miele, frutto della passione e cioccolato bianco.
In abbinamento mi viene servita la cuvée di vino dolce Aruna 2017
della cantina
Kurtatsch (70% Gewürztraminer, 30% Moscato Giallo): un gioco di
aromi che denota albicocche di montagna, pera Williams, miele di lavanda e
frutti esotici maturi, molto equilibrato, con un finale fruttato capace di
esaltare al meglio la bontà di questo dolce.
GRAN FINALE TRA VINI E CASTELLI A SAN MICHELE APPIANO
"Iniziate sempre la giornata con un sorriso e terminatela con un bicchiere di vino" è la frase che campeggia sulla parete dietro al grande banco per le degustazioni della tenuta di Klaus Lentsch, a San Paolo, pittoresca frazione nella parte alta di Appiano famosa per le sue facciate, i tradizionali "erker" e soprattutto per il gigantesco duomo nel centro del paese, tra gli edifici religiosi più importanti dell'Alto Adige. Pensate che la sua costruzione, iniziata intorno al 1147, ha richiesto ben 250 anni e la mastodontica torre dotata di 9 campane, misura la bellezza di 85 metri di altezza.
Bene, non molto distante da questo capolavoro di architettura, uscendo un po' dal paese, circondata dal verde lussureggiante dei vigneti, si trova l'azienda a gestione familiare che Klaus Lentsch - quinta generazione di una storica famiglia di viticoltori altoatesini - nel 2008 ha avviato assieme alla moglie Sylvia. È lei ad accogliermi in una giornata uggiosa con un calice e la frase di cui si è detto, specificando che l'importante è non finire per fare il contrario...la sua simpatia mi mette subito di buon umore, nonostante il cielo plumbeo minacci un acquazzone epocale. Così iniziamo a parlare e mi racconta che la loro cantina coltiva la vite in tre diverse zone viticole dell'Alto Adige, dalle cui uve nascono i vini cru della Valle Isarco, i freschi bianchi dell'Oltradige e i corposi vini rossi della Bassa Atesina.
Nelle diverse vigne crescono le varietà di Pinot nero, Pinot grigio, Pinot bianco, Grüner Veltliner, Moscato giallo, Gewürztraminer, Sauvignon e Lagrein. Insomma una bella varietà, per un totale di 14 etichette fra cui il G-ASTRONAUTA ha scelto i Lagrein (riserva Amperg e Laianus) dai vigneti di Vadena e i Pinot neri espressione del primo vigneto di proprietà a Campodazzo, al maso Hemberg, sui cui ripidi pendii si pratica la viticoltura eroica. La cantina offre la possibilità di visitarlo tutti i giovedì alle ore 10 su prenotazione, al prezzo di 160 euro per 3 persone, incluso uno spuntino all’ora di pranzo con raffinate specialità regionali e una degustazione di vini provenienti dai vigneti del maso. Tornando ai vini, ho trovato eccezionale il Pinot Noir Riserva "Hemberg", che potete degustare accomodandovi al social table o ai colorati divanetti con tavoli in legno che caratterizzano la moderna enoteca con wine shop.
Qui si organizzano spesso anche eventi, spettacoli come concerti e teatro in cantina, feste private e banchetti. Per un'immersione nel mondo dei vignaioli, Klaus Lentsch propone visite guidate con degustazione ogni mercoledì e giovedì alle 14,30 e venerdì alle 16,30 al prezzo di 22 euro a persona, mentre di sabato alle 11,30 il "WeinTalk" vi accoglie in enoteca tra vini, specialità gastronomiche e chiacchiere al prezzo di 27 euro a persona, su prenotazione scrivendo a info@klauslentsch.eu. Se poi decideste di fermarvi a sognare ancora un po', il wine resort dispone di quattro eleganti appartamenti - Laianus, Eichberg, Bachgart e Fuchslahn - in una splendida posizione panoramica a 450 metri di altitudine, con vista mozzafiato sull'intero Oltradige e sulle Dolomiti, una piscina esclusiva e intorno distese sconfinate di natura vinicola.
Se si pensa che sono più di 180 gli edifici storici - divisi tra fortezze, castelli e manieri - che caratterizzano il paesaggio di San Michele Appiano è facile comprendere perché il più grande comune vitivinicolo dell'Alto Adige sia conosciuto come la "Terra di castelli, laghi e vini", Eppan – Burgen, Seen, Wein in tedesco.
In effetti anche la sede della cantina dei Produttori di St.
Michael-Eppan, fondata nel 1907, è un imponente edificio in
stile liberty dalle fattezze simili a un castello con tanto di torri angolari.
Un gioiello che in 116 anni di storia ha inevitabilmente subito qualche
restyling, l'ultimo dei quali ad opera dell'architetto
altoatesino Walter Angonese che ha dato una nuova veste ai vecchi soffitti
a volta della cantina, con intonaco brillante e opere d’arte a ornare le
pareti.
Con 320 famiglie di viticoltori e 390 ettari di vigneti la Cantina dei Produttori di San Michele Appiano produce oltre 2 milioni e mezzo di bottiglie all'anno e rappresenta come poche altre la grande tradizione enologica del Trentino-Alto Adige, guidata dal 1977 dal celebre wine maker Hans Terzer. Basse rese, selezione, pulizia maniacale in vigna come in cantina, conoscenza e sperimentazione: queste, in sintesi, le linee guida di un brand conosciuto e pluripremiato in tutto il mondo.
A partire dagli anni Ottanta lo spazio delle barricaie dei bianchi e dei rossi ha conquistato il cuore della cantina. In esse maturano, in piccole botti di rovere francese, le selezioni dei vini più preziose e pregiate. Questo affinamento richiede grande sensibilità e dà vita a vini complessi, che racchiudono in sé una simbiosi perfetta tra frutto e sfumature che il legno può esaltare. Nella Cantina San Michele Appiano l’affinamento tradizionale dei vini in grandi botti di legno svolge tutt’oggi un ruolo importante. Per questo negli scorsi anni la cantina storica è stata completamente rinnovata con oltre 50 grandi botti di rovere. Saltano subito all’occhio le quattro antiche botti da 150 ettolitri che, impreziosite da antichi intagli, raffigurano vicende storiche a partire dal 1907. L'acciaio è irrinunciabile per la vinificazione moderna. Esso rappresenta infatti il materiale ideale sia per i tini di fermentazione, che per i serbatoi di conservazione, garantendo igiene e pulizia.
La nuova cantina gravitazionale di 30.000 metri cubi, completata nel 2020, permette ai Produttori di St. Michael-Eppan di garantire un conferimento e una lavorazione delle uve moderna ed efficace. All'interno, sarete accolti dalla grande enoteca costruita nel 2011, con punto vendita Wine Time: a caratterizzare la sala degustazioni un lungo bancone, grandi finestre e un enorme tavolo arcuato che illustra, attraverso le bottiglie collocate sulla mappa, la disposizione geografica dei vigneti della cantina sul territorio. Fuori, nello "Hortus conclusus", viene mostrato concretamente il terroir della Cantina e viene approfondito quello che è esposto sulle tavole all'interno.
La gamma di vini è suddivisa in 6 linee per la gioia di tutti i wine lovers: i vini tipici altoatesini della linea Classic, bianchi e rossi; le etichette Fallwind – dal nome del vento di caduta che caratterizza tutta la zona di coltivazione della Cantina San Michele Appiano – provenienti da vigneti selezionati che riflettono al meglio il terroir; la linea di punta Sanct Valentin, dal 1986 il fiore all’occhiello della maison (due etichette su tutte il Pinot Bianco 2020 e il Pinot Rosso 2018, le preferite del G-ASTRONAUTA); e poi ancora la linea di annate storiche Sanct Valentin, con oltre 10 anni di affinamento e The Wine Collection in edizione speciale per i veri intenditori.
Infine: Appius, dal 2010 al 2018 il non plus ultra della produzione firmata Hans Terzer. In eleganti bottiglie numerate, dal design diverso ogni anno, una pregiata cuvée in cui l’ingrediente principale è lo Chardonnay, sapientemente mescolato a uve Pinot Bianco, Pinot Grigio e Sauvignon. Una perla con cui concludo in bellezza il mio viaggio sulla Strada del Vino del Trentino-Alto Adige. Al prossimo brindisi.
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